Annetta, Magreta e le altre
Marco Giacometti, presidente dell'associazione «Amici del Centro Giacometti», ha presentato l’8 agosto presso l’albergo ristorante «Val d’Arca» la vita di Annetta Giacometti a cavallo del 1937, data della separazione dalla sua unica figlia femmina, Ottilia, morta 5 ore dopo la nascita del figlio. Testimonianze della loro vita sono alcune foto e la corrispondenza tra Annetta e le sue vicine, Maria Fasciati e Magreta Maurizio, su cui Marco scriverà un articolo per i «Quaderni del Grigioni italiano». Un contributo di Donatella Rivoir
Dacché era rimasta vedova, la signora si fa forza e muove alla volta dei suoi figli, in movimento tra Zurigo, Ginevra, Parigi, Stampa e Capolago. Dopo il 1937 lei si prende cura del nipotino, Silvio Berthoud, fotografato a Capolago, impegnato a giocare con i coetanei a Maloja e a Stampa. Lo scopo della nonna è dedicarsi al nipote che diventerà dottore in malattie tropicali, avrà tre figli e diversi discendenti, due mogli; ora riposa nella terra di Borgonovo con il resto della famiglia .Un fulmine a ciel sereno ha colpito anche il resto della famiglia, si osservano delle inversioni di rotta anche nel lavoro di Alberto, legatissimo alla sorella: di quel periodo è un ritratto della madre tratteggiata di nero-grigio lo sguardo quasi vuoto, le sue statue sempre più piccole e le donne sempre più sottili.
Itala Vivan passa la parola a Virginia Marano fresca di tesi di dottorato a Zurigo. La studiosa snocciola nomi di opere, artisti, critici e case d’asta sconosciuti ai più ma si percepisce in maniera molto chiara il meticoloso lavoro di ricerca che fa nelle vite di diverse scultrici ebree esiliate in America nel secondo dopoguerra. La sua ricerca mira a leggere le loro opere non tanto da un punto di vista artistico o concettuale quanto dalle loro esperienze personali e dalle influenze di altri artisti, ad esempio Alberto Giacometti, frequentato a Parigi e contemplato al «Moma» di New York. Ricco di spunti di riflessione il lavoro della dottoressa Marano analizza il modo rivoluzionario che queste donne adottano per entrare nelle opere d’arte fisicamente, e esse stesse parte del lavoro artistico con la loro storia, il loro corpo e la loro ricreazione di una casa o di una comunità perduta.
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Statements
Mario Negri
Qualcosa della sua valle, dei suoi monti, i dirupi del Piz Duan, le spaccature fendenti del Sciora, è rimasto come segno indelebile nelle sue sculture. Lo scabro, il roccioso, il ferrigno, l'impervio, il solenne, il disadorno, il solitario, il selvaggio sono rimasti in lui come radici che affondano nella sua terra.Mario Negri, 1966